giovedì 22 gennaio 2015

...a poche ore dal voto Peppe Provenzano racconta che cosa si respira,politicamente ... ad Atene.Le elezioni in Grecia viste dall'Acropoli. Paure, speranze e aneddoti dalle strade di Atene.

 

da http://www.huffingtonpost.it/giuseppe-provenzano/grecia-elezioni-acropoli-atene_b_6515964.html?utm_hp_ref=italy

Domenica si vota in Grecia. E chi pensa da più di un po' che la Grecia sia la priorità politica, anche per l'Italia, sa pure che l'ultimo dei problemi è andare "alla ricerca dello Tspiras italiano". "Vogliono andare a scuola dai greci", hanno ironizzato molti. Be', andare a scuola fa bene dappertutto - la scuola di Atene, poi... Bisognava andare, organizzarsi una brigata, una di quelle delle belle sere, gli amici con cui condivi i pensieri che cambiano e che durano, e le risate - una brigata kalispera, più che kalimera.
La Grecia non smette di fabbricare miti. E come sempre la loro bellezza è nelle varianti, nell'infinita possibilità di smontarli e rimontarli, fonderli ai pezzi di verità e di vita, alle voci e alle facce delle persone che incontri, e i luoghi, le distanze, le prossimità. Così, il mito delle elezioni greche. E quando il proprietario dell'appartamento dove dormiremo ci viene a raccattare a tarda notte all'aeroporto, e si comincia a parlare di politica, ecco la variante inaspettata. Parla con grande consapevolezza di economia, di un'altra Europa, dell'euro e dell'impossibilità ora di tornare alla dracma, delle colpe dei governanti e dell'ottusità della Troika, degli interessi "predatori" del Nord e dei paesi del Sud alla deriva... Insomma, vota Tsipras? Macché, "quei ragazzi di Alba Dorata... Sì, qualcuno di loro che esagera, ma il Governo è peggio. Li ha messi in galera senza motivo, dopo che aveva provato a trafficarci in Parlamento. Syriza ha un bel programma, ma qui ci sono troppi immigrati. Io non sono razzista, solo che prima i greci. E poi sono sempre stato di destra, ho sempre votato Nea Dimokratia, ora voto quei ragazzi là".
Dall'ampio terrazzo al mattino si vedono i tetti bianchi e le antenne paraboliche di Atene, persino un costone dell'Acropoli. È in un bel palazzo liberty, si direbbe abitato dall'alta borghesia. Quando scendi al piano terra, è una sezione del Kke. Il vecchio partito comunista greco è dato tra i possibili alleati di Syriza in un probabile governo di coalizione. Ci accolgono cinque signori. È un museo, ci offrono da bere intorno a un tavolo, farebbero volentieri una riunione con noi. E in che lingua si parla? Tedesco, ci propone una di loro. Ma come? Sì, tedesco. E ci dicono che Tsipras è "un'opportunista"... Loro non vi si alleeranno mai. Voi siete duri e puri? Sì, dicono, in italiano, "duri e puri". Si ride, si saluta. "Al lavoro e alla lotta". Volevamo buttarci in mezzo alla politica greca, e siamo partiti dagli estremi - uno sopra l'altro, nella stessa palazzina liberty. È la democrazia, caro mio. L'hanno inventata loro, e ci giocano un po' come gli pare.
L'Acropoli è inondata di luce, una bella coppia di nordici si arrampica tra i mendicanti e lo stupore. Sotto, se è la prima volta che guardi Atene da lì, è il bianco di cento Siracuse, sembra che tutte le città meridionali siano venute a convegno, con tutte le loro bellezze e le loro bruttezze; e tutti i porti giù al Pireo, e il sole rapace anche a gennaio, e il mare senza onde... Non si può che cominciare a scendere. Nel traffico, nei mercati, e da una parte all'altra con la famosa metropolitana - è bellissima, e pulitissima: due giorni prima delle elezioni passate il governo aveva "informato" centinaia di persone, che comunque non smettono di lustrarla per bene.
Il sistema dell'informazione - molto manipolato, lamentano i più - sta polarizzando il voto tra Syriza e Nea Dimokratia. E si vede. Per esempio, tutti i tassisti ci dicono che sono per Tsipras, tutti i ristoratori per Samaras e la piccola larga intesa - del fu grande Pasok non si parla molto né si vuole parlare, e loro non si fanno vedere in giro: magari è una strategia, chissà. Lo smembramento del partito si è concluso con la recente scissione di Giorgio Papandreou, l'erede dei fondatori, che con il suo nuovo partito Kinima, fondato a sole tre settimane dal voto si propone l'obiettivo, forse tardivo, di rappresentare il "vero Pasok" dopo la deriva di Venizelos, il suo carnefice. Papandreou è diventato il capro espiatorio della crisi, un nome quasi impronunciabile. I greci sembrano rimproverargli non solo di aver portato il Fmi, ma persino di essersi fatto fregare dai suoi, peggiori di lui, nel passaggio drammatico del referendum sul memorandum. Nessuno sa se supererà la soglia del 3% per entrare in Parlamento e potrà giocarsi una nuova partita politica. Se rimarrà sotto, sarà il compimento della sua parabola politica e umana, che se non è degna di una tragedia antica lo è sicuramente di una storia onesta da riscrivere e raccontare.
Buona parte del suo elettorato (aveva avuto quasi il 44% nel 2009, che pure è un'era fa) è passato in massa a Syriza, che ne ha saputo attirare anche pezzi di élite. Lo stesso Yanis Varoufakis, il guru economico di Tsipras, era stato consigliere di Papandreou. Sue sono le proposte sulla ristrutturazione del debito, suo è il compito di parlare ai mercati e all'Europa e di far da ponte con gli Usa. A lui si guarda da fuori, e lui guarda fuori. Conosce la politica italiana - come tutti qui, in verità. Segue persino le vicende interne del Pd. Mi dà del "gufo" e se la ride. "Dopo mi racconti un po'", ora deve salire sul palco e prendere la parola. In un venerdì pomeriggio ha riempito l'auditorium della musica, il Megaro Moussikis, per un'iniziativa che ha creato qualche malumore pure tra i suoi: quel posto è un carrozzone tenuto in piedi con soldi pubblici e frequentato dalle peggiori parrocchie dell'oligarchia. Però c'è il palco e c'è la folla: gli economisti, si sa, triste segno dei tempi, sono le nuove rock star. Lui, della rock star, non ha solo la giacca di pelle, ma anche il gusto della provocazione. Ce lo spiega dopo un venditore di souvenir. Alfonso prende un Socrate di gesso e non si trattiene: "chi sono i filosofi, oggi? Gli economisti?". L'uomo si schermisce, racconta allora che Varoufakis, l'altra sera, ad un dibattito televisivo, avrebbe detto che, se vince Syriza, sarà "blood and sand". Sangue e arena - ma davvero aveva in mente quel film degli anni Venti con Rodolfo Valentino? "Tsipras avrà la maggioranza - dice - i greci amano credere ai sogni, ma dove li prenderà i soldi?". Lui, s'intende, voterà per i partiti di governo. "La situazione è difficile, e non può cambiare all'improvviso. Altrimenti, sarà blood and sand, capisci? Per la Grecia è qualcosa di terribile... Abbiamo fatto tanti sacrifici, la situazione può migliorare solo poco a poco, passo dopo passo".
Solo che il poco ora non basta a troppi e, passo dopo passo, si affollano le file alle farmacie "sociali" organizzate da Syriza, alle mense dei poveri di vari partiti e parrocchie. Di fronte al bellissimo Museo archeologico nazionale c'è un supermercato, entro per vedere i banchi dei prodotti scaduti, di cui avevo sentito parlare. Dietro le casse è un grande cesta, dove chi può permetterselo, o magari anche no, lascia un po' della sua spesa in una busta "sospesa" - un caffè sospeso, dicono a Napoli, e qui è pane, olio, frutta, persino un po' di carne e di verdura. La Grecia è il nostro Sud, lo abbiamo detto molte volte. Si somigliano come due meravigliosi crateri crepati negli stessi punti. E c'è quell'elemento umano, che nessun memorandum potrà cancellare, che risalta nello smantellamento dello Stato. Lo Stato, che era certo un apparato burocratico deformato dalle clientele di troppe stagioni, ma erano anche i servizi che non ci sono più, la sanità al collasso, la sicurezza. Si sono diradati i cani randagi per le strade, ora piene di agenti privati che diffondono una sensazione intima di insicurezza. Ma poi, blood and sand, che voleva dire? Non è già successo, qui? Qui c'è una gran voglia di tornare alla normalità. Il centro svuotato dalla crisi si riempie di locali molto chic. Sono gli unici esercizi commerciali che fanno soldi, di questi tempi. Come in una qualsiasi città del Sud. In uno di questi si bevono ottimi drink, uno si chiama blood and sand, un intruglio allo Cherry niente affatto male. Ecco, lo vedi? Non c'è da preoccuparsi. Vogliono tornare alla normalità, le ragazze e i ragazzi che incontri, quelli che non sono emigrati altrove, e sono ancora tanti. Molti votano Syriza, e sono universitari, professionisti, piccoli imprenditori. Non vogliono il socialismo, vogliono un cambiamento, che sia ragionevole, normale. Perché non è normale quello che gli è stato fatto, la disoccupazione al 50% (lo stesso livello della Campania), la povertà che insidia uno su tre. Non è normale che i più fortunati, quelli che hanno ancora un lavoro, tra affitto e spese, devono campare con cento, duecento euro al mese. C'è molto disincanto. Sanno che nel programma di Salonicco (dell'autunno scorso) ci sono promesse all'ingrosso, che non saranno mantenute. E si mettono a ridere se gli dici che le elezioni greche possono cambiare l'Europa. Si sono sentiti abbandonati, in questi anni. E gli fa rabbia.
Sì, c'è un derby, come si direbbe in Italia (dove ormai senza metafore calcistiche è impossibile parlare di politica), tra la "paura" rappresentata da Samaras e la "rabbia" rappresentata da Tsipras. La paura di essere buttati fuori dall'Europa, delle reazioni dei mercati. La rabbia, invece, è mitigata da uno scetticismo di fondo che spinge a ragionare: "Abbiamo provato con tutti, è stato un disastro. Ora proviamo con lui. Non cambierà tutto, ma almeno un po'. E comunque, si vedrà". La speranza, quella che accende il tifo straniero, in Grecia deve ancora venire. E questo è il compito più difficile per Tsipras, e lui lo sa. Sa che la reazione alla disillusione, se alle sue parole esose non seguiranno dei fatti, può essere esiziale. Sangue e arena, ma per davvero. Alba Dorata, azzoppata dai processi, è ancora un pericolo, al di là delle percentuali di queste elezioni. Ma il pericolo maggiore è la diserzione, l'ammutinamento. C'è una stanchezza profonda trai greci. L'aria elettorale nasconde un po', e riaccendo l'orgoglio di un popolo che è riuscito a tenersi stretta la democrazia, dopo una lunga "sospensione".
Al quartier generale di Kinima (il movimento di Papandreou), spiegano perché il programma di Salonicco sia irrealizzabile. E magari hanno pure ragione. Ma hanno capito che continuare così è ancora meno possibile. Se superassero il 3% e Tspiras non avesse la maggioranza assoluta, potrebbero essere un alleato persino comodo: l'alibi di fronte ai greci per compromessi che abbassino le pretese sul programma elettorale. Ma, per le strade, Tsipras non è il suo programma, è un'occasione politica. Non una scelta ideologica, ma una scelta nazionale, per riaffermare anche una dignità di fronte all'Europa, e sperare che questa la smetta di scaricare su di loro una crisi che riguarda tutti. Se gli dici però che c'è una grande aspettativa, in Italia e altrove, per la loro scelta, quasi non ci credono. "Siamo un paese così piccolo... siete voi che dovete cambiare, spetta a voi aiutare noi e mettere in discussione le cose che davvero non si possono sopportare". Ed è così che voteranno questo giovane leader che è soprattutto un volto nuovo, che è sceso in piazza al loro fianco, e non ha cercato di cambiarli ma si è fatto cambiare più di un po'. Basta leggere il bel libro-intervista di Teodoro Andreadis Synghellakis, Alexis Tsipras. La mia Sinistra, uscito in questi giorni per Bordeaux edizioni. Ora è a pieno titolo un leader di governo. E i greci lo voteranno senza i facili entusiasmi, senza i velleitarismi, senza l'allegra baldanza con cui li si guarda da fuori, che certo è sempre meglio del cinismo miope di chi non ha speso una parola per loro. Altro che "mamma li greci"! C'è una grande saggezza politica, nella maggior parte delle persone che incontri. E bisogna dirselo, a leggere certi giornali italiani: c'è solo una razza peggiore di quelli che vogliono spiegare agli italiani di fare come i greci, quelli che vogliono spiegare ai greci cosa fare, come votare.
A farmi da un po' da guida politica è stato Angelo, un italiano che vive in Grecia da trent'anni, ha un blog pieno di notizie, Lettera da Atene. Ha sposato Cleri, un'esule dalla dittatura che poi è stata tra i fondatori del Pasok, e ha molte storie da raccontare. Nelle settimane del memorandum, erano piazza Syntagma contro il loro governo. Ora sono dirigenti di un partito piccolo, nato dalla scissione di un gruppo che fa capo a Louka Katseli, l'ex ministro dell'economia di Papandreou, cacciata dal partito per le sue posizioni sui memorandum, e amata dai greci per la legge sull'impignorabilità della prima casa (che la Troika ha cercato più volte di smantellare). Mi racconta il dramma sociale - a un certo punto risponde al telefono: è una giovane siriana sua affittuaria, le abbassa il canone da 80 euro per un monolocale in una delle vie del centro, "dammi quello che riesci". E mi racconta con grande sapienza la bellezza di queste elezioni. Perdo il conto di tutti i partiti, lui mi spiega che "in Grecia ognuno ha il suo" - del resto, ci si può presentare alle elezioni senza troppe difficoltà anche poche giorni prima del voto e con poco si accede al finanziamento pubblico: l'hanno inventata loro, la democrazia, e così sia.
Il loro partito ha un nome meraviglioso Koinoniki Symfonia, che significa "patto sociale". Ma non si presentano alle elezioni, hanno un patto di desistenza con Syriza. Ci portano al pranzo elettorale che suggella l'accordo. C'è tutto il gotha di Syriza, il segretario, la bella presidente dell'Attica (regione che da sola vale mezza Grecia), a un certo punto arriva Varoufakis, che qui chiamano "il texano" (insegna anche all'Università di Austin, Texas) e non sembra più una star. Qui c'è aria di governo, facce serie nelle prime file. Sfilano le correnti di questa coalizione, lo "zoccolo duro" della Syriza di qualche anno fa, gli stessi che hanno negato alla Katseli un gruppo di candidati forti nelle liste. Alla tavolata "della presidenza" parlano fitto. "Ognuno di quelli là dice la sua, e spesso il contrario dell'altro, e così anche in televisione". È un bel problema di Tsipras, e speriamo che non lo diventi per tutta la Grecia. Ci sono diverse centinaia di persone, un buffet che neanche per le elezioni regionali a Napoli o a Palermo. Louka Katseli è molto brava, e con Tsipras avrà sicuramente un ruolo di primo piano nel governo economico del paese. Era l'economista e pasionaria del Pasok, già assistente di Andrea Papandreou, l'amato padre di Giorgio a cui più di qualcuno ora accosta Alexis Tsipras. Ha pure rappresentato il Fmi da qualche parte, forse in Moldavia: si è sempre la Troika di qualcuno... Ringrazia tutti con un rito della torta che si usa a inizio d'anno, e pure noi. Ci dice che si aspetta molto dall'Italia, da Renzi. Se lo aspetta al punto da dare importanza a qualche dichiarazione d'amicizia dell'ultima direzione del Pd. Chissà che effetto gli avrà quando dall'Italia, anche ai massimi livelli politici, si continuava a ripetere, come un esorcismo, come una bestemmia, che "noi non siamo la Grecia". O quando ancora ieri, si parlava di Atene solo per scongiurare il rischio di "contagio", come se fossero loro i veri malati d'Europa.
Si saprà solo nelle prossime ore se, per sciagurato paradosso, la Grecia sarà esclusa dall'atteso Quantitative easing. Per noi, è ora di tornare. Un uomo elegante sui quaranta ci saluta in italiano: "Noi ci proviamo, e voglia Dio che questi qua sappiano fare qualcosa di buono. Ma è un gioco più grande di noi, non tutto dipende da qui. Io con la crisi ho perso molto, quasi tutto. Non sono ottimista. È difficile, come finirà?". Che dire? Siamo già via quando apro un vecchio libro sul supplizio di un italiano a Corfù... E parendo imminente nuova e più profonda ruina, ad un Greco esclamante "Che resta?", risposi con fede "resta la Grecia".



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